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la Grafite

Natura, eventi, territorio

Nuova location, tanti eventi, musica, gusto e un grande pubblico per la 17esima edizione della Sagra del Torcetto, grissino e Toma di Lanzo

DiElena.Caligiuri

Set 24, 2023

LANZO – Sagra bagnata, sagra fortunata. La 17° Sagra del Torcetto, Grissino e Toma di Lanzo, quest’anno nella nuova location dell’area del Foro Boario ha dovuto fare subito i conti venerdì 22, giorno dell’inaugurazione, con un forte temporale, ma la serata si è subito ripresa con il taglio del nastro dell’evento alla presenza delle autorità e in serata con gli spettacoli musicali con gli Honey Flowers e a seguire Dj Set con Dj Flax & Giordy, revival anni 70 / 80.
«Vorrei ringraziare fin da subito – ha esordito il presidente Pro loco Danilo Massa Bova – i ragazzi che non si sono fatti spaventare dal temporale, ma che anzi stanno lavorando e rappresentano la nostra grande risorsa, la Protezione civile che è intervenuta prontamente e gli espositori già qui con noi questa sera. La Sagra ha attrazioni in tutto il paese e ha lo scopo di promuovere i nostri prodotti, lo dimostrano le oltre 130 bancarelle che riempiranno le vie di Lanzo».
Il sindaco di Lanzo, Fabrizio Vottero ha poi voluto ringraziare la Città Metropolitana per aver messo a disposizione domenica una navetta gratuita che ha portato visitatori da Torino a Lanzo, il Consiglio regionale, la Regione Piemonte e le Unioni. «Per realizzare simili eventi – continua Vottero – serve un grande impegno, più associazioni lavoreranno insieme, segno che collaborando si possono costruire appuntamenti importanti».

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Nelle giornate di sabato 23 e domenica 24 il clou della festa: stand con prodotti del territorio e non solo, accampamenti storici antichi mestieri, momenti musicali itineranti, esibizioni di gruppi storici con la presenza di rapaci, passeggiate con pony e presso il cortile della storica chiesa di Santa Croce l’esibizione degli arcieri.
Nel pomeriggio in piazza Gallenga il Gruppo Storico Trecentesco ha fatto rivivere ambientazioni e giochi medievali in uno scenario unico, da lì poi la partenza per visite guidate a cura del Comitato
Ponte del Diavolo. In piazza Peradotto, nell’antico forno e nel Foro Boario si sono tenute le dimostrazioni sulla produzione dei tre prodotti tipici torcetto, grissino, toma.
Presso il Foro Boario” “la locanda dei sapori della tradizione” ha preparato pasti per tutte le giornate della sagra oltre a preparare panini con prodotti tipici e si è potuta gustare birra artigianale aromatizzata al torcetto. E alla sera tanti gli applausi per “Royal Party Band” e il dj Set con dj Flax & Giordy.
Attese e seguite domenica 24 Pompieropoli per i più piccoli e la grande sfilata con numerosi gruppi storici, cavalieri, sbandieratori.
Un mix di tradizione, gusto, divertimento che ogni anno trova consensi da parte del pubblico e lo dimostrano le lunghe file per acquistare un sacchetto di torcetti. Un dolce che, insieme a grissini e toma, rendono unica la città capofila delle Valli.

SCORRERE LE IMMAGINI

SCORRERE LE IMMAGINI (foto di G. De Troia, Rosa Fragapane, G. Pessarossi, Luca Cagnasso)

Di seguito il testo di Daniela della Casa presentato domenica, con letture di Elisa Macario Ban e musica di Daniele Magnaldi


Quei torcetti avevano il profumo della generosità, della capacità di inclusione e solidarietà. Spesso dal dolore nascono le cose migliori come i torcetti di Lanzo, una delle eccellenze del nostro paese.

IMI- Emigrazione. Torcetti di Lanzo


(la storia è interconnessa e può essere sorprendente)
Era un bel giovane bruno dai riccioli neri e occhi ridenti. Veniva da Cavezzo di Modena come immigrato in cerca di lavoro che, nel suo paese, nell’immediato dopoguerra, non si trovava.
Era il 1946, il giovane di nome Guerrino si era ormai ripreso, almeno fisicamente, dalla tragedia vissuta nel campo di concentramento in Germania dove era stato “ ospite” per ben due anni dal settembre 1943 alla fine della guerra nel 1945. Era stato internato come IMI ( militari internati italiani in sigla inglese) . Quella orrenda formula o acronimo che dir si voglia, era stata creata direttamente da Mussolini per specificare che quelli non erano semplici prigionieri di guerra e quindi sottoposti alla convenzione di Ginevra, ma dei traditori perciò trattati quasi alla stregua degli
internati nei campi di sterminio. Quel giovane sarebbe diventato il mio amatissimo papà.
Aveva lavorato in miniera nella Rurh in Vesfalia, credo, ma non ne sono sicura. Certa invece sono della sua reticenza a raccontare le sofferenze, il terrore e l’orrore di quegli anni e il senso di colpa per essere sopravvissuto, nonché l’ingiustizia di essere considerato uno che non aveva scelto la parte in cui stare dopo l’8 settembre, data dell’armistizio; la zona grigia veniva chiamata con disprezzo la situazione.
Una sola volta , alla mia insistente richiesta di sedicenne curiosa che voleva racconti sulle esperienze di guerra, papà, con occhi pieni di dolore rispose: “ Mi trovavo a Bolzano quando fu dichiarato l’armistizio dal maresciallo Badoglio, praticamente in bocca ai lupi tedeschi che, fin dal 25 luglio, giorno della caduta di Mussolini, avevano ammassato grandi forze sui confini per intervenire in ogni evenienza. Non fu difficile per loro catturare i militari italiani trasformatisi all’improvviso da alleati a nemici. Noi eravamo sbandati, privi di comando, incapaci di comprendere cosa stesse accadendo. Fui preso con tutta la brigata. Ci allinearono sulla banchina della stazione di Bolzano dove sostavano molto treni. Una SS ci passò in rassegna. Ad ognuno
chiedeva di rispondere con un si o con un no ad una semplice domanda: Tu
Mussolini?”
Io, da bravo ragazzo di sinistra, secondo gli insegnamenti della mia famiglia, quando fu il mio turno, senza esitazione, con voce sicura risposi: “ Io, No Mussolini!”

In quell’attimo segnai il mio destino. Chi rispondeva No veniva caricato sul treno per la Germania chi diceva Si veniva smistato altrove no so in quale luogo.
A quel punto papà abbassò il capo e tacque. Aveva gli occhi lucidi come i miei. A me venne in mente la poesia di P. Levi Se questo è un uomo e incominciai a guardare mio padre con maggior rispetto e con immenso amore. Lui aveva scelto, eccome aveva scelto e aveva patito l’inferno per un semplice NO. Scriveva Levi : “ Considerate se questo è un uomo che muore per un si o per un no” .
Papà Guerrino dall’orrore del campo era tornato, trentotto chili bagnati, aveva ripreso con coraggio a vivere, era migrato dall’ Emilia, aveva costruito una famiglia, aveva avviato un’azienda, come vedremo. (A questo proposito soleva affermare. “ Sono venuto a Lanzo con una bicicletta scassata e solo gli occhi per piangere.) Ma quelle ferite profonde, quei graffi che portava non solo sulla pelle ( esito di uno spezzone incendiario durante lo sbarco alleato in Sicilia) bensì dentro l’anima non lo
abbandonarono mai. Solo dopo quella rivelazione drammatica compresi i suoi scatti d’ira improvvisi che mi spaventavano da piccina e certe sue manie come il rapporto famelico con il cibo. Scrissi a tal proposito una poesia che ancora oggi mi strazia.
Faceva così:
Rotto il silenzio
Risparmi su tutto, papà.
Non conosci vacanza,
indossi da anni
lo stesso cappotto,
ma, a tavola, il meglio
lo vuoi, lo pretendi.
La mela più rossa,
la carne più fine,
la pasta più ricca.
Perché?
Sorridesti, lo sguardo
lontano, portasti le mani
sul volto, rompesti
il silenzio covato da tempo
e…un filo di voce dicesti:
“ Prigioniero due anni
in un campo tedesco
son tanti, son troppi.
Duro il lavoro in miniera,
sfasciava le ossa,
ma più di ogni cosa
poteva la fame.
Crude ho mangiato
le bucce di poche patate
ancora lordate di terra,
ho inseguito, acchiappato,
ingoiato, in minestra,
blatte e lombrichi.
Per fame ho accettato
il lavoro più orrendo:
ammucchiavo in catasta
con metodica cura,
su traballante carriola,
i compagni già secchi.
Anch’essi legna indurita
e nient’altro.
Mio Dio, perdono!
Speravo ogni giorno
che fossero tanti…
Il premio: una zuppa slavata.
La vita!
La fame mai più.” Tacesti
e non seppi più nulla.

Quel suo mutismo era dettato dal pensiero di dover espiare una colpa che non aveva commesso, doveva pagare l’essere sopravvissuto. Perché lui sì e gli altri no? Il dolore era il prezzo di una colpa incolpevole che quasi tutti i reduci dai campi, anche gli IMI hanno provato. Secondo papà Guerrino bisognava contenere, tacere.
Giunto a Lanzo Guerrino che veniva chiamato “ Ël napoli” sia per i colori bruni sia perché i Piemontesi, a quel tempo, definivano così gli immigrati dal Po in giù, lavorò come garzone nella panetteria di Zoe Gozzi in Via Diaz. Erano compaesani e lo trattavano bene. Non è un caso che Zoe mi fece da madrina tant’è che io, di nome, dopo Daniela, Paola, Bruna faccio Zoe.Era il 1948.
Qualche anno dopo, nel 1954, Papà decise di provare una nuova avventura, cioè aprire un’attività in proprio, fare i biscotti. Aveva coraggio e voglia di fare, caratteristica degli emiliani, intendeva assicurarmi un futuro migliore. Io, allora ero troppo piccina per avere ora ricordi chiari, ma un operaio di papà, il figlio maschio che non aveva avuto e al quale fu molto legato, mi ha raccontato ogni cosa e mi ha insegnato a fare i torcetti con la ricetta Della Casa. Che emozione quel giorno!
Adriano sosteneva che i torcetti di Lanzo erano nati da un’intuizione di papà Guerrino che coinvolse nel suo progetto due amici, anch’essi abili nell’arte bianca: Aglio e Bastianini con i quali aveva fatto amicizia. Aglio aveva un piccolo forno in Via Diaz dove già produceva i torcetti. Lavoravano con lui Bastianini e il giovanissimo Marcello Airola. Si trovavano spesso al bar della Torre per giocare a biliardo, a carte o per un semplice caffè.
Papà ricordò che a Mirandola, paese dell’umanista e filosofo Conte della Mirandola, famoso per la portentosa memoria, facevano dei dolcetti meravigliosi. Con i due amici provò a ricrearli. I primi tentativi furono fallimentari fino a che, un giorno, come per magia, dal forno a legna uscirono fragranti dolci fatti a goccia. Eureka.
Erano nati i nuovi torcetti di Lanzo così chiamati perché si torceva la pasta tiratacome per fare un grissino ripiegandola su se stessa per creare i due dolci. Andarono a ruba. Bene. Era ora di affrontare l’ignoto con coraggio e determinazione. Aglio, già più anziano si defilò andando in pensione, mentre Della Casa e Bastianini diedero inizio alle loro attività. Certo quei dolci non erano come quelli che il giovane Guerrino gustava a Mirandola, ma erano buonissimi e …speciali. E rispettavano la tradizione piemontese.
Il primo seppe che in Piazza S. Chiri c’era un forno dismesso di proprietà del sig. Possio che glielo affittò insieme con l’alloggio all’ultimo piano dello stabile. Il secondo andò a S. Lucia, una delle frazioni di Lanzo assumendo il giovane Marcello Airola che in seguito con i figli avrebbe continuato la tradizione. Ambedue ebbero fortuna e rimasero sempre amici e fedeli al patto che non avrebbero mai invaso il territorio dell’altro. Il patto fu una semplice stretta di mano, come si usava allora tra galantuomini. Quelli erano gli anni della ricostruzione di un paese, l’Italia distrutto dalla guerra e chi aveva volontà e coraggio si buttava in nuove imprese per riprendersi quella vita sospesa durante il conflitto. Accennando ai gentiluomini vorrei aggiungere che i due amici si aiutavano spesso. Ad esempio, quando uno dei due aveva troppo lavoro ne cedeva una parte all’altro che era magari in un momento di crisi. A volte si scambiavano gli operai se era necessario, insomma si trattava di vera e propria collaborazione.
Non conoscevano la parola concorrenza che oggi viene intesa come un bene per calmierare i prezzi; spesso in realtà è una scusa per fare cartello e chi ne subisce le conseguenze è il consumatore.
Il pastino di papà si trovava in Piazza S. Chiri dove ora c’è il bar pasticceria Ël torcèt che però comprende anche la parte che, ai tempi di mio padre, era la macelleria di Tonin.
Papà lavorava per i grandi biscottifici torinesi e piemontesi quali Maggiora, Accornero, Mautino che compravano i suoi torcetti e li vendevano con il loro marchio. I clienti più piccoli a Torino e dintorni ricevevano le scatole di torcetti con il logo di Guerrino Della Casa cioè il ponte del diavolo, icona del nostro paese.
Torcetti se ne fanno ovunque con diverse ricette, ma quelli di papà erano i veri torcetti di Lanzo e per me i più buoni perché sapevano di caramello e vaniglia. Vi svelo un trucco per caramellizzare lo zucchero superficiale e che si può adottare solo con il forno a legna. Bisognava inclinare leggermente la latta, ( Tòla) su cui posavano i torcetti ormai perfettamente cotti,verso la fiamma per pochi secondi.
Bastava una piccola disattenzione in quell’operazione delicatissima perché i torcetti si bruciassero e rompessero.
A quei tempi non si buttava via nulla . I dolci rotti e troppo cotti si vendevano a metà prezzo agli abitanti dei dintorni. Molte scatole finivano alle orfanelle presso le Suore Albertine. Papà non le dimenticava mai. Credo che buona parte dei residenti in Via Cibrario facessero colazione con i Torcèt rot ‘d Guerin. Io mangiavo solo quelli. Nel forno di papà il vicinato portava spesso a cuocere torte, mele, pere, peperoni.
Avevano tutti libero accesso, non esisteva una chiave e la porta del cortile era sempre aperta. Le persone suonavano il campanello e mamma dalla finestra urlava: “ Intra , intra , fa atension a nen bruséti.” Ci si conosceva tutti e c’era collaborazione. E poi papà era generoso. I patimenti subiti nel campo di concentramento invece di inasprirlo gli avevano donato bontà e comprensione quella che dimostrava ai suoi operai. Lui assumeva molti immigrati sardi, siciliani, non faceva alcuna differenza con i locali. Essendo egli stesso un immigrato conosceva esattamente le difficoltà di
inserimento in un paese nuovo e la sofferenza dello strappo dalle radici. Per questo i suoi torcetti di Lanzo erano più buoni( per me naturalmente), avevano il profumo della generosità, della capacità di inclusione e solidarietà. Spesso dal dolore nascono le cose migliori come i torcetti di Lanzo, una delle eccellenze del nostro paese.